Dal treno le auto sulla provinciale sembrano giocattoli telecomandati.
Scorrono colline con casolari abbarbicati sulla cima e alberi, campagne punteggiate di pecore e ammantate di papaveri, margherite gialle, fiori di tarassaco.
C’è un piccolo rassicurante maestrale che cancella le nuvole e si porta via l’afa dei giorni passati.
Da qualche tempo mi sono riappacificata con il treno. E’ un bestione grosso di cui non ci si deve fidare, il suo aspetto pacioso è solo apparenza. Oggi ho scelto questo viaggio in treno con biglietto di andata e ritorno. Ma io amo viaggiare in macchina. La macchina è autonomia, è libertà, è correre e scegliere le strade meno trafficate e fermarsi a guardare certi alberi che custodiscono un piccolo specchio d’acqua, è lasciar entrare dai finestrini aperti il profumo e i colori dell’erba.
E’ rallentare perchè una donna vestita con il costume sardo, che non si sa da dove venga e dove vada, a qualunque ora è lì, che cammina sul margine della strada e forse è un’allucinazione o forse un fantasma.
No, non mi da’ fiducia, il treno. E’ infido, se tardo ad arrivare non mi aspetta.
Il mostro che s’incunea tra le colline ed i campi, sferragliando sulle rotaie, che sembra sbadigliare mentre compie l’azione più abietta.
Mi portò via che avevo cinque anni, un nastro rosa tra i capelli, una gonnina blu marin e una camicetta di piqué bianco su cui mia madre aveva ricamato casette e fiori. Mia madre, lì, alla stazione, con la mano sollevata a dirmi ciao. Non ricordo il suo sconcerto, non conosco il tremore che le attraversò il corpo come un pugnale mentre il treno si allontanava e mi portava via da lei.
Poi un’altra città, una mano sconosciuta che teneva la mia, ed io avevo freddo. Avevo le braccia, le gambe, il cuore scoperti.
Dieci anni più avanti il treno mi rapì ancora, mi portò in mezzo alle montagne, scavalcò il Tirreno, le Bocche di Bonifacio, l’isola de La Maddalena. Mi inchiodò ad una sdraio di fronte alle Dolomiti e, la notte, in una stanza con le finestre aperte. Anche lì avevo freddo. Anche lì niente e nessuno che mi proteggesse.
Forse mia madre è ancora in attesa di me sul marciapiede di quella stazione di una domenica mattina che è rimasta fotografata nella memoria. E’ ancora lì, trentenne e bella, con la mano che dice ciao e poi va alla bocca che si dischiude in un dolore senza risposte.
Io non riconosco la stazione a cui stamattina sono approdata dopo un breve viaggio tranquillo. Nè so il punto in cui mia madre mi aspetta ancora.
Blumy
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