Pietre

Il vento, stamattina, si porta via i colori.
Le voci sono andate via in altre stagioni.
In agosto il fumo scomparve, gli occhiali sulla fronte,
quel tormento secco che mi consegnò col nome,
con il primo respiro.

E lei, la silenziosa. Che camminava
cercando la sua casa (forse era davvero un’altra casa,
fatta di mattoni benedetti)
e si perdeva nelle strade

– come mi perdo io dentro me stessa  –

L’altro è lontano nella stessa città.
Da sempre si racconta in altre storie.
Lo so solo, una vanga appoggiata al muro e dimenticata.
Pietre di uno stesso blocco, frantumate,
su cui cade la pioggia.

Il profumo dell’elicriso

Raccogli, raccogli tutto:
questa luce di piombo sopra i vetri,
la trasparenza, l’obbedienza del bicchiere
e le voci mute che attraversano le stanze.

C’erano. C’era.          Ci sei.
Per ora non fermarti. Chiudi
nelle tasche ogni parola
che ti soffia nell’orecchio

e vai avanti con il tuo carico di nuvole.
Ti chiameranno ancora.
Ma non voltarti.

Andrai con labbra secche, occhi
cuciti dal maestrale,
nella tua strada senza stelle.

Ti stringeranno in un abbraccio folle
l’elicriso e il vento.

Il treno

Dal treno le auto sulla provinciale sembrano giocattoli telecomandati.

Scorrono colline con casolari abbarbicati sulla cima e alberi, campagne punteggiate di pecore e ammantate di papaveri, margherite gialle, fiori di tarassaco.

C’è un piccolo rassicurante maestrale che cancella le nuvole e si porta via l’afa dei giorni passati.

Da qualche tempo mi sono riappacificata con il treno. E’ un bestione grosso di cui non ci si deve fidare, il suo aspetto pacioso è solo apparenza. Oggi ho scelto questo viaggio in treno con biglietto di andata e ritorno. Ma io amo viaggiare in macchina. La macchina è autonomia, è libertà, è correre e scegliere le strade meno trafficate e fermarsi a guardare certi alberi che custodiscono un piccolo specchio d’acqua, è lasciar entrare dai finestrini aperti il profumo e i colori dell’erba.

E’ rallentare perchè una donna vestita con il costume sardo, che non si sa da dove venga e dove vada, a qualunque ora è lì, che cammina sul margine della strada e forse è un’allucinazione o forse un fantasma.

No, non mi da’ fiducia, il treno. E’ infido, se tardo ad arrivare non mi aspetta.

Il mostro che s’incunea tra le colline ed i campi, sferragliando sulle rotaie, che sembra sbadigliare mentre compie l’azione più abietta.

Mi portò via che avevo cinque anni, un nastro rosa tra i capelli, una gonnina blu marin e una camicetta di piqué bianco su cui mia madre aveva ricamato casette e fiori. Mia madre, lì, alla stazione, con la mano sollevata a dirmi ciao. Non ricordo il suo sconcerto, non conosco il tremore che le attraversò il corpo come un pugnale mentre il treno si allontanava e mi portava via da lei.

Poi un’altra città, una mano sconosciuta che teneva la mia, ed io avevo freddo. Avevo le braccia, le gambe, il cuore scoperti.

Dieci anni più avanti il treno mi rapì ancora, mi portò in mezzo alle montagne, scavalcò il Tirreno, le Bocche di Bonifacio, l’isola de La Maddalena. Mi inchiodò ad una sdraio di fronte alle Dolomiti e, la notte, in una stanza con le finestre aperte. Anche lì avevo freddo. Anche lì niente e nessuno che mi proteggesse.

Forse mia madre è ancora in attesa di me sul marciapiede di quella stazione di una domenica mattina che è rimasta fotografata nella memoria. E’ ancora lì, trentenne e bella, con la mano che dice ciao e poi va alla bocca che si dischiude in un dolore senza risposte.

Io non riconosco la stazione a cui stamattina sono approdata dopo un breve viaggio tranquillo. Nè so il punto in cui mia madre mi aspetta ancora.

Blumy

Al mio gatto

Eri qui, presenza ormai dolente e silenziosa.
Qui:come un mio braccio poggiato
sul bracciolo del divano.

Il mio respiro e il tuo all’unisono
ed eri caldo, mute parole d’occhi,
le mie false promesse d’infinito.

Ora ci son soltanto spighe alte,
fiori selvaggi e la pioggia
a sgualcire la tua piccola casa di morte.

Potrai, scavando con le unghie nell’eterno,
nasconderci quest’ orfanezza nuova,
il tuo muso da clown

(l’occhio birbante e quello buono)
tu, creatura felina con le ali?