Forse ho tremato

Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle,
no per il freddo, no per la paura,
no del dolore, del rallegrarsi o per la speranza,
ma di quel niente che passa per i cieli
e fiata sulla terra che ringrazia…
Forse è stato come trema il cuore,
a te, quando nella notte va via la luna,
o viene mattina e pare che il chiarore si muoia
ed è la vita che ritorna vita…
Forse è stato come si trema insieme,
così, senza saperlo, come Dio vuole…

Franco Loi

Non saprò nulla

dal blog Thebeautywelove

Non saprò nulla della mia vita,
oscuro monotono sangue.

Non saprò chi amavo, chi amo,
ora che qui stretto, ridotto
alle mie membra,
nel guasto vento di marzo
enumero i mali dei giorni decifrati.

Già vola il fiore magro
dai rami. E io attendo
la pazienza del suo volo irrevocabile.

Salvatore Quasimodo

Natura morta

Una pietra sta galleggiando nel lago.
Galleggia la pietra e l’acqua adotta la forma di un’aria viva
che compie una nuova funzione nel mondo.
Non sono stato ancora convocato da questo linguaggio,
nemmeno per interpretare il messaggio del vento
che soffia tra gli alberi la sagoma d’una parola.
È difficile trovare una lettura credibile di questi fatti
poiché la natura non protegge i segni delle sue creature
né emette messaggi rivelatori.
Inoltre, ciò che è solido mai contraddice la gravità.
Ovvero la pietra cade fino al fondo
perché le molecole dell’acqua non la sopportano
e perché il mondo è una materia triste
che a volte sbaglia le parole.

Ricardo Miguel Costa

La morte e la bambina

Beatrix Martin Vidal

Le disse ti porto via per sempre
e quella voce alla bambina
sembrò squarciare il buio.
Non poteva portarle via di più.
Gli stracci che vestiva
la pelle scarna gli occhi grandi
di fame e solitudine.
Rispose si, vengo con te.
Era la notte gelida della cometa,
dei cuori al caldo, dei cieli
azzurri di cartone.
Si, vengo con te.
La morte aveva viso e occhi,
un principe seducente
per chi non ha sogni nè preghiere
sulle labbra. Ti porto via per sempre.
Le parvero, le sue nozze con il buio,
qualcosa che infine produceva
uno strappo, e senza sangue.
Vengo con te, diceva la bambina,
toccandosi i fianchi per un sacrificio
che l’avrebbe portata oltre il gelo,
la paura. Portami con te.
Le si accostò la morte e le piantò
in faccia la sua torcia.
Negli occhi della bambina brillavano
dodici anni di miseria, fame,
anni senza amore,
anni senza una briciola d’amore.
Quella luce fu troppa per la morte,
la spaventò, la fece fuggir via.
Stava lì per terra, la bambina,
smarrita, in una casa vuota e fredda.
Ma era viva.

Blumy

Ci sono due cammini nella mia vita

da flickr

 

II

Ci sono due cammini nella mia vita. Sempre
li ho avuti. In ognuno si trovava un’anfora
con l’acqua fino ai bordi. Delle due acque
ho bevuto fino a saziarmi. Più
di adesso, sono arrivata alla fine di ogni percorso
e le acque sono state consumate.
Mi metto il peplo e scorgo te, vita,
come terzo cammino.

Mia Gallegos, trad. Blumy

L’artista

Fumar

Un artista è pieno di cose imperfette,
gli pascolano sulla testa greggi di nuvole,
confonde la luce con l’ombra,
il nord con il sud il sud con l’ovest.
Spesso si perde in terre remote,
attraversa gli oceani come se fossero mari.
Ha nelle tasche imprevedibili piccole luci
—————-(forse lucciole?)
e sempre ritorna e riparte per luoghi lontani;
è a Salonicco a Vienna e a Firenze
nello stesso momento.
Ha un viso semita un cuore larghissimo
rosso per mille ferite.
L’artista è l’uomo più ricco
e,  se finge la morte,  ogni giorno risorge.

Blumy

Andare avanti

ora che sono qui e l’aria intorno si dilata
– sembra il respiro di chi viene al mondo e lo vivifica –
sento che sono io a rimpicciolirmi, e lascio spazio,
e spazio è poco per chi arriva da onde tormentate,
è poca l’aria è poco il pane è poco il tetto
per chi lotta ancòra e ancòra ha sangue che pulsa
e che comanda di andare avanti, continuare,
nonostante.

Blumy

Resurrezione

Omar Galliani
In questa notte assetata mi sono chiesto
chi sei e chi sei.
Perchè è triste la tua carne come un legno esaurito
e perchè hai colma la bocca di spilli.
E lentamente, questa notte ti ho separata
come un albero d’amore dal resto delle donne
e facendo del mio sangue un’acqua ho battezzato
con essa le tue angustie e i tuoi piaceri.
E ho detto alla morte che non può uccidermi!
E ho detto alla vita che non può vincermi!
E ho detto alla terra che se riesce a seppellirmi
dovunque sia tu andrai a raccogliermi!
E ho detto al nulla che se riesce a spegnermi,
tu, con i tuoi grandi baci, tornerai a incendiarmi!
Jorge Debravo

Persistenza dell’acqua

 

 

Dalla sua architettura commossa
si alza l’abisso
tracciando innumerabili solitudini.

E’ un furore. Sentitela.
La sua placidità
è solo un artificio
della fugacità.

L’acqua impera e lega
con il suo cristallino fervore.
Abitazione totale. Certezza prossima
che inonda il cuore o la parola.

Non c’è scappatoia dal suo stupore,
né sogno in cui non irrompa. Nessuno
può evitare il suo freddo incommutabile.
Sola, impulsa
con gesto irriflessivo
la vita verso il caso
e la scioglie.
E’ una soglia di diafani intenti
dove tutto ritorna
alla prima levità:
le braci baciate, le aurore
lanciate a morire sulla sua ombra,
le pulsazioni aggredite, sangue a sangue,
fino a mutarle nell’oscurità.

E l’uomo,
povero luogo che si brucia
nelle sue lente fiamme corporali,
nonostante la luce che disabita,
trasparente come il tempo
cede ormai la sua brama e la presenza,
nel flusso e riflusso ingovernabili
della totalità dell’acqua insonne,
come un dio che cambia
il suo regno per la morta trasparenza.

 

Laureano Albàn

Voglio sentirlo

Anji Johnston

In fondo ad ogni canzone
anche la più triste
in fondo ad ogni bicchiere
qualcosa suona dolcemente.

Una volta più forte
un’altra volta appena.

Voglio sentirlo.
Dio sa ciò che mi spinge
ad aspettare che arrivi questo suono,
altrimenti avrei paura dentro al cuore.

Jan Skacel, trad dal francese di Blumy  (dal blog terres de femmes )

Lo specchio

Hu Jun Di

Un uomo si china su di me
come sopra l’acqua.
Nello specchio della mia acqua
desidera vedere il suo volto.
Ma la mia acqua è scura,
scura e profonda e
non gli rinvia il riflesso.
L’uomo cerca, sorpreso,
stupefatto, e temo
che salterà dentro, in me,
per frugare nel mio profondo
il suo viso morto,
morto.

Barbara Korun

Padre, come mi sta mancando

 

 

Padre, come mi sta mancando
la tua forma di cadere,
la tua parcella di paura,
e questa ragione senza tregua d’essere villaggio
che sale dai tuoi occhi alla notte.

Come sanno d’erba deposta
il tuo nome senza città,
le reti screpolate delle tue mani.

Io, in solitario, ti dichiaro eroe,
ti nomino capitano delle dolcezze
smarrite e dolenti della terra,
ti abbraccio con la fretta dell’assenza,
e chiedo il tuo dolore, la tua piaga, il cieco
dono d’essere uomo rotto che mi manca.

Ho bisogno di cadere come cadesti
nella lenta atmosfera senza canti.
Ruotare sopra la terra
sotto colpi continui
di cui nessuno conosce l’artefice.

E tacermi, tacere
sotto la certezza della furia.

Lureano Albàn

L’albero del futuro

L’albero del futuro è un’iniziativa del blog letterario Viadellebelledonne, è un albero carico di parole e le parole messe insieme, a grappoli, a catenella, a ghirigori, come si vuole, insomma, spesso fanno poesia.   Così, come tanti ornamenti luci regali appesi all’albero di Natale,  si stanno accendendo poesie.

L’albero del futuro è anche una promessa di vita nuova che, senza la poesia, non ha linfa, non ha salvezza.

Dall’albero ho staccato una poesia, l’autore è Paolo Polvani e i versi hanno una grazia e una leggerezza che li fa scintillare.

La sciarpa norvegese

Si sta abbastanza caldi nel mio cuore ?
Sono qui, da solo, con la muta nostalgia
dei tuoi occhi, col fruscio lento
di un ruscelletto di parole
e le piccole gonne
crescono ? e il vento ?
fa una bella figura tra le lunghe
gambe il vento ?

Io sono qui, che bruco
dalle tue letterine bionde, seguito a ruminare
la fresca erba della scrittura.

Bevo barbagli, lucori, fantasmatiche albe
e indizi tenui e quanta luce filtra
dagli spiragli delle parole
e le fragoline ? le intride un’alba
mentre lontano stride, cigola un trattore
e l’ombelico, e il miele ?

Stringiti la sciarpa norvegese e ascolta
il blu del nostro cielo.

Paolo Polvani

Il ladro

Sofia Rondelli

Ladro, – davvero, un ladro dappoco, pregiudicato;

faceva la posta
a donne e uomini, vecchi e bambini, a foglie, finestre,
lampadine,
a vecchie chitarre, macchine per cucire, rami secchi,
a se stesso. Rubava sempre
un loro atteggiamento, una loro espressione, le cicche
che gettavano per strada,
i loro vestiti, quando si spogliavano nell’ora dell’amore,
i loro pensieri,
le loro forme sconosciute, le loro e le sue, e ne faceva
grandi, strani mazzi di fiori o li piantava nei vasi.
Adesso,
dal fioraio all’angolo, lo vedevamo dietro i vetri
aspergere con la pompa le grandi rose, le dalie,
i garofani,
non li vendeva né li regalava; – un ladro singolare,
un principe decaduto dentro la sua serra. Solo il suo
 viso,
esangue, si distingueva in mezzo ai gigli altissimi,
come un morto nel feretro di vetro. Tuttavia,
nel freddo dell’inverno, questo fiorista coi suoi fiori
invenduti
ci dava sempre l’impressione di un’eterna primavera;
anche se in seguito apprendemmo
che tutti quei fiori erano di carta, colorati
con tinte rosse e gialle – ma soprattutto rosse –
in sfumature varie.

Jannis Ritsos

Ci sono sottilissime note

Ci sono sottilissime note
tra le cose e le loro morti,
come un violino che suona
mentre affonda in un’acqua interminabile.
Ci sono case in cui le finestre ardono sempre
e la notte non può abbandonarle.
C’è il tuo viso e la mia mano
e l’incerta passioni di riunirli.
C’è un plancton solare
nei corpi amanti,
che il mare non ha conosciuto né comprende.
Ci sono musiche in me
che mai potrò darti.
C’è la desolazione e il viso che l’attende.
Ci sono uccelli che ardono sbandati
dal canto alla morte,
ci sono possessioni ultime,
polpe lunari, fiumi
che irrompono verticali nelle ore…

Laureano Albàn

Il cane

Avevo un cane nero.
Nero e colmo di luna,
come i miraggi dell’infanzia.
Ma giunse la luna, quella di verità e sangue,
e gli disse che nessuno
regna contro la nebbia.
Nemmeno l’enorme
moneta di verità
dei suoi occhi che insidiavano
la luce sotto le porte,
nemmeno gli dèi
vestiti con le pelli
lucide dell’infanzia.
E un giorno, come se qualcuno
disponesse i mondi
in modo concluso
e in un azzurro che avanza,
ineluttabilmente
deciso a cancellarci
fino all’ultima ombra
ed ai suoi sogni di ieri;
un giorno in cui le vecchie
ciliegie si crebbero
campane e volarono,
mia madre lo trovò
che odorava la cenere
della sua morte e della notte,
ai piedi della scala
dove il mandarino
si incendiava con quelle
torri della sua memoria.
Avevo un cane nero.
Nero e colmo di neve,
come i miraggi
orditi dell’infanzia.
Questo lo dico ardendo
di fronte al poema e solo
come un dio che non giunge
ad intendere i destini.
Questo lo dico adesso
con il pianto ancorato
al sangue che passa
incendiando le rosse
finestre della terra.
Avevo un cane azzurro.
– Dissi nero l’altra sera –
Avevo un cane d’oro.
– Dissi nero l’altra notte –
Si chiamava Azabache,
come il nome di un villaggio
bruciato dal tempo,
o dal sogno, o dall’amore.
La mia relazione con lui
fu da lampada a lampada.
E ci bastava vedere
la sera, segretissimi,
per sapere che Dio
era un nome del mondo.

Laureano Alban

Quando sono diventata frutto

Madalina Iordache Levay

 

Quando sono diventata un frutto
Maschio e femmina mia madre mi ha messa all’ombra della luna
Ma Adamo fui sacrificato alla mia nascita
Immolato ai mercenari della notte
E per consolarmi
Mi lavò con acqua torbida
E mi portò sul pendio di ogni montagna
Per lo spettro del silenzio e il rumore delle domande mi rese docile
Mi consacrò a Eva lo stupore e la trasformazione
mi impastò con il buio e la luce
Un tempio ai diavoli del paradiso.
Straniera crebbi e nessuno si preoccupò del mio grano
Ho preferito disegnare la mia vita su una pagina bianca
Mela che nessun albero partorì
Poi ritagliarla e uscirne
Una parte di me vestita di rosso, un’altra parte di me in bianco
Non ero solo dentro e fuori del tempo
Perché ho avuto origine nei meandri celati
Prima di nascere pensavo
Di essere una massa abbondante
Di avere dormito a lungo
Di avere vissuto a lungo
E quando sono diventata un frutto
Ho saputo quel che mi attendeva.
Ho detto ai maghi di prendersi cura di me
Allora mi hanno presa.
Era
La mia risata
Bella e imbarazzata
Volavo sulle piume di un uccello e di notte diventavo un guanciale
Hanno gettato il mio corpo nei talismani
e hanno cosparso il mio cuore con il nettare della follia
Mi hanno recato un silenzio e dei racconti
E fatto in modo che io vivessi senza radici.
E da quel momento vago da un luogo all’altro
Indosso una nuvola ogni notte e parto
Solo io mi dico addio solo io mi do il benvenuto
Volo per sentirmi libera non perché ho paura
Torno dal desiderio non dal fallimento
la mia costanza è il mare e la mia bussola è la tempesta
nell’amore non getto l’ancora in nessun porto
il mio corpo è il viaggio e la mia morte è nel fermarmi
di notte lascio gran parte di me stessa
per abbandonarmi a un forte abbraccio quando ritorno
i miei fratelli gemelli sono la distanza e le isole
l’onda e la sabbia della spiaggia
il rifiuto e il desiderio voluttuoso della luna
l’amore e la morte dell’amore
chi comprende il mio ritmo mi conosce
mi segue
pero non mi raggiunge mai.
Joumana Haddad

Un giorno lei disse

da flickr

Un giorno lei disse
costruirò la mia casa di pietre e lampi sui rami
portata in cima dalle braccia di un sicomoro

Processioni di pioggia verranno a salutarla
e l’orizzonte stanco di fare il funambolo su una pozza d’oceano
s’allungherà sulla sua soglia

Io darò la caccia alla nebbia ladra di greggi e di silhouette

Cammina a orde come i lupi
sgozza i ruscelli
s’infiltra in tutti gli orifizi
riempie corpi e tronchi della sua ovatta
li trasforma in cilindri insonori
non lascia al sangue che la suo eco

Venus Khoury-Ghata trad. dal francese di Blumy

Ed è la tua ombra ed è e si disfa

Christian Lieverse

 

Ed è la tua ombra ed è e si disfa,
si fa radice e grano
in quel che qui ti tengo.
Il dito di penombra che mi dai
aumenta la mia mano e mi tiene in te.

Tintinna adesso la sera nei collari
di pecore indifferenti:
tutto con esse resta, e gli ulivi,
non visti, ma presenti.
Me ne avviluppo, al suo calore
il nostro sangue è uno e matura.
Buonanotte, amor mio.
Buonanotte, che fa giorno.

Pedro Tamen

Fiaba d’Inverno

Gabriel Pacheko

Inverno s’è vestito di pioggia e di vento e ha bussato alla porta di Annina. Lei ha fatto un po’ di resistenza, si è appoggiata con il suo corpicino legnoso contro la porta ma il vento è più forte e l’ha spalancata e la pioggia s’è insinuata dentro le crepe dei muri, allargandole.
Annina si è coperta le spalle e ha sospirato rassegnata, ogni anno Inverno arriva a casa sua e ogni anno lei è più vecchia e indifesa.
Vive in una casa grandissima, con un corridoio lungo come una strada, le stanze da una parte e dall’altra e una terrazza sospesa per aria da cui certamente tutti quelli che prima abitavano con lei, a cominciare dalla vecchia nonna materna, hanno preso il volo per altre case da cui il vento e la pioggia rimangono fuori.
Inverno è tutto arruffato, coperto di pelli e con un cappellaccio nero che gli nasconde il volto fino al naso che gli gocciola di continuo. Se ne sta seduto in una poltrona della prima stanza a destra e ogni tanto tossisce o manda lampi, facendo rizzare il pelo alla gatta Silenziosa.
In quella stanza, dove prima sono passati Autunno, Estate e Primavera, c’è una macchina che viaggia nel mondo e che contiene tutta la conoscenza umana.
Annina l’accende perchè ama le parole e i colori e, viaggiando con quella macchina, lei abbandona la sua vecchiaia e Inverno e la casa vuota e silenziosa si riempie di persone parole musica arte e di tutte le notizie del mondo.

Silenziosa è gelosa di Annina che per un po’ si lascia portar via dalla macchina e per rabbia le morde una caviglia.
Annina ama Silenziosa e sopporta la presenza di Inverno perchè non puo’ mandarlo via; lui aspetta lì. con i suoi lampi e la sua tosse, che fioriscano i mandorli. Allora, com’è arrivato, se ne va via, lasciandosi dietro impronte fangose e odore di foglie marce.

Quando Annina esce dalla sua stanza per raggiungere la cucina, il suo orologio da polso segna le 10 e quando arriva sono le 10 e venti minuti. In cucina la segue Silenziosa con il pelo ritto perchè ha visto Inverno e l’ha sentito starnutire.
Il lungo corridoio diventa più lungo e oramai è una strada, un viale freddo e fangoso dove Annina cerca un riparo dal freddo, una pensilina, un portico, una panchina per riposare.
Mentre percorre la sua strada, Annina sente sempre di più la fatica, si accorge d’esser diventata vecchia quasi quanto Inverno e si ferma, sfinita, a riposare.
Facendo scivolare le mani sulle pareti si lascia cadere lentamente e si abbandona sul pavimento. Silenziosa, con la coda alta, le si avvicina ronfando e le lecca una mano. Annina sorride e si addormenta.
Sogna Primavera e i suoi anni giovani, i capelli biondi, le corse nei prati e sua madre che la chiama per andare a scuola. La casa è piena di persone, non c’è Inverno e il lungo corridoio si percorre in un sorriso.
Entra dalle finestre il sole e inonda la casa, lei ha piedi e scarpe da bambina, mani di bambina che devono ancora acchiappare la vita.
Annina, Annina, svegliati. Annina, Annina.

Per il gran silenzio anche Inverno s’è addormentato e Silenziosa è andata nella terrazza sospesa per aria e non si trova più.

Il mio amore ha radici d’acqua

Alexander Pogrebinsky

 

Il mio amore ha radici d’ acqua
non ditegli che è disperso o annegato
o incerti imprevedibili percorsi.
Non dite. Nella sabbia battono le sue
vene e i tronchi, non dite che non li trovate
ha forza di tuono ma sono mani
a migliaia aperte e le bocche
spalancate al cielo. Non può un nome
– non sfama né disseta –
è altro il destino e altrove
nell´ogniccosa che respira bassa e muta
l´ogni destino minuto e sovrano che qui
ti porta, canto lontano che muove montagne
e le porge alla tua guancia
e porta il vento d´oro che bagnerà
la bocca se accovacciato e muto il respiro
gli sorprendi e la sua insonnia

Ilaria Seclì

Sto tra i fiori

Veronica Gradinariu

Ti ho atteso e ti attendo
con la mia bellezza intatta
io, del colore dei fiori,
e dall’aria di vecchia cartolina.
Poco più di trent’anni
e ancora attese …… e il sangue
che mi rende viva e mi fa amare.
Ancora non so come la strada
che percorro si riempirà di rovi
e pietre dure, non so che la mia bellezza
rimarrà dentro questa fotografia
e chi mi avrà amato chiuderà la porta
e mi caccerà via dalla sua vita.
Per questo sto tra i fiori, bella
e immobile, e senza una parola.